La donna che cambiò le regole dello sport

 

 

“Se rimpiango di non aver avuto figli? No… ogni volta che vado fuori e vedo una donna correre penso:                  “ è una delle mie”. Ho un paio di milioni di donne che sono mie figlie.

1967, Kathrine Switzer corre la Maratona di Boston da sempre vietata alle donne e cambia la Storia dello sport.

Oggi sembra incredibile, ma solo cinquant’anni fa alle donne non era permesso iscriversi. Non erano ammesse perché giudicate inadatte a correre lunghe distanze.  Bisogna aspettare il 1984 (!) perché le atlete possano partecipare alle Olimpiadi nella specialità della Maratona.  Ce ne ha messo il mondo a mettersi al passo!

Switzer, dunque, infrange le regole e, una volta rotti gli argini delle convezioni, sulla scena mondiale si riversa un fiume inarrestabile di atlete e campionesse.  Anche negli sport vietati perché considerati virili, come il basket, il calcio, il rugby.

La mattina del cambiamento.

È 19 aprile 1967. Nevica, c’è un freddo che stacca le orecchie, eppure Switzer, che all’epoca ha vent’anni, è preoccupata (dice nella sua biografia) di come apparirà sulla pista. Si mette il rossetto, gli orecchini.

Quando il fidanzato Tom le dice “Accidenti hai il rossetto!”

Lei ribatte: “Lo metto sempre, che problema c’è?”

Qualcuno potrebbe notare che sei una ragazza e impedirti di correre”.

Non mi toglierò il rossetto!”

Figuriamoci se si fa intimidire da un’eventualità come questa. Del resto qualche mese prima aveva convinto Arnie il suo allenatore a farla partecipare alla corsa. Continua a leggere

E non sono forse io una donna?

sujourner truth-1Sojourner Truth nasce a 46 anni, nel 1843.
È l’anno in cui sceglie per se stessa questo nuovo nome- invece del precedente Isabella Baumfree-. Ed è anche l’anno in cui decide di dedicare la sua vita all’abolizione della schiavitù.

Già, perché lei prima era “Belle”, una schiava. Non si conosce la sua data di nascita, perché per i bambini nati schiavi non era prevista la registrazione, come fossero bestiame. Comunque, secondo gli storici, è più o meno il 1797.

A 9 anni, Belle viene venduta all’asta, insieme a un gregge di pecore, per 100 dollari. Il suo padrone, come ricorda nelle sue memorie, è un uomo violento e brutale. Ma non è finita qui. Viene rivenduta altre due volte, prima di finire a West Park, New York, a lavorare per il nuovo e ultimo proprietario. In questo periodo impara l’inglese, anche se manterrà per sempre l’accento fiammingo, sua prima lingua.

L’amore? Vietato!
A 18 anni Belle si innamora di Robert, schiavo in un’altra fattoria della zona. Dalla loro unione nasce una figlia, Diana, ma la notizia è incerta. Comunque sia, il padrone di Robert, proibisce la relazione, perché i figli della coppia sono destinati a diventare tutti proprietà del padrone di Belle, e non sua. Con i neri è così, è come avere un allevamento di esseri umani. Più ne hai, più sei ricco. Questione di profitti, insomma.
Robert e Belle non si vedono più.
Come sarà stato sentirsi vietare il diritto a desiderare? Niente più carezze, niente più momenti rubati dopo una giornata di lavoro, a dirsi quelle sciocchezze così preziose che si scambiano le coppie. Niente più Robert.
Il padrone di Belle la costringe a sposare un suo schiavo, più vecchio, e dal matrimonio nascono tre figli (o quattro?). Peter, Elizabeth e Sophia sono i nomi che ricorrono nei testi di Storia.
Impossibile non pensare a Toni Morrison, scrittrice afroamericana, premio Nobel nel 1993. Nei suoi libri, in particolare in Amatissima, riesce a raccontarci cosa voleva dire nascere e vivere schiavi. La mostruosa mancanza di identità, il sentirsi considerati animali, le emozioni contradditorie della libertà.

Quasi libera
Lo Stato di New York, dove lavora Belle, abolisce la schiavitù nel 1827.
Tuttavia, nonostante la legge, i proprietari possono sempre trovare cavilli per prolungare lo stato di schiavitù. Esattamente quello che succede a Belle.
Quando il padrone rinnega la promessa di lasciarla libera, lei non ci sta. Fugge con la figlia più piccola, lasciando dietro di sé gli altri. Chissà che strazio sarà stato abbandonare i bambini. Cosa avrà pensato Belle? Sono più grandicelli, se la caveranno… tornerò a prenderli? Continua a leggere

Niki de Saint Phalle: L’immaginario al potere

Con la sua arte anticipa i temi del Movimento di liberazione delle donne. E la sua arte le assomiglia: esplosiva, potente, monumentale. Niki è trascinante e divertente. Un’icona. È la Leonessa dell’Immaginazione. Scelte di vita e artistiche radicali, donna di una bellezza toccante. Prima o poi le faranno un monumento. Intanto le dedichiamo questa minibio che fatica a raccontare tutta la sua grandezza. Mandateci anche voi la storia di una donna che per voi ha significato molto. Spedite la vostra Leonessa a snoqfactory@gmail.com, e noi la pubblichiamo!

Grazie Niki

Ho deciso molto presto di diventare un’eroina. Chi sarò io? George Sand? Giovanna d’Arco? Napoleone in sottana? Non assomiglierò a mia madre…passerò la mia vita a fare domande”.

Niki De Saint Phalle. Artista performer. Franco-americana. (1930-2002)

Niki de Saint Phalle in Los Angeles, 1962

“Il mio nome è Niki. Niki de Saint Phalle. E faccio sculture monumentali.” Così si presenta in uno dei suoi video, beffeggiando James Bond e trascinando il pubblico nella sua fantasia vorticosa.

Famosa tanto quanto Andy Wharol, Niki è negli anni ’60 un’icona di libertà e di effervescenza creativa. Artista autodidatta per scelta, perché insofferente alla cultura accademica che avrebbe potuto imbrigliare la sua libertà. La vita segnata dall’incesto da parte del padre, a 11 anni, un segreto che rivelerà solo alla fine della vita. Niki sceglie molto presto di essere “un’eroina” e di affrancare le donne. Le sue, infatti, sono in ogni momento scelte artistiche e di vita radicali, eppure sempre temperate dall’ottimismo, dal senso dell’umorismo e da un’irrefrenabile immaginazione. Padre francese nobile, madre franco-americana: Niki riceve la classica educazione di ragazza di buona famiglia tra Francia e Stati Uniti. Vivrà sempre, ora in una nazione ora nell’altra, passando però gli ultimi anni in California.

A 19 anni si sposa con il poeta americano Harry Mathews, ha due figli, si stabilisce in Francia. Nel frattempo fa la modella per riviste come Vogue e questo le permette l’indipendenza economica. La coppia a Parigi conduce una vita bohemien. Niki studia arte drammatica, vuole fare teatro. Poi una forma depressiva grave. Il ricovero. Ne esce con un’unica visione: vuole essere un’artista.

È proprio in questo periodo che sceglie il suo stesso nome. Scelta emblematica infatti, frutto anche del libro che la segna profondamente: ‘Il secondo sesso’ di Simone de Beauvoir. Fa interamente sua la frase “ Donna non si nasce, si diventa”, e lei diventa Niki de Saint Phalle .

Niki è una delle prime artiste a riflettere sui ruoli della donna. Spose, Partorienti, Prostitute, Dee, Streghe. Nelle sue prime opere le donne sono sì vittime ma potenzialmente sono eroine.“Penso che dobbiamo arrivare a una nuova epoca sociale. Il matriarcato.”

Ma poi irrompono sulla scena le “ Ragazze”, Nanas in francese. La serie giocosa, vitale e monumentale che celebra il corpo femminile. Al contrario della rappresentazione classica e stereotipata dei corpi femminili, statici e ben proporzionati, le Nanas hanno forme tonde, espressive, dinamiche. E sono giganti! Continua a leggere

Florence Artaud : la mia Leonessa

Di Francesca Comencini.

florence

Florence Artaud è morta oggi, in un incidente di elicottero, mentre partecipava a un reality show francese. Dio mio, non ci posso credere,  mi crolla il mondo e piango. Florence Artaud è un mito, una leonessa, vera, una mia leonessa e di molte donne della mia generazione.

Navigatrice eccezionale, di genio, aveva vinto nel 1990 la più prestigiosa traversata in solitario dell’oceano Atlantico che ci sia: la Route di Rhum, in 14 giorni, 10 ore e 10 minuti, al timone di un trimarano di 18,28 metri e davanti ai migliori skipper di tutto il mondo, tutti maschi. Era entrata nella leggenda. Lei, da sola, esile, con quella chioma nera immensa che sembrava davvero la criniera di una leonessa, aveva tenuto tutta la Francia, e tutte le donne francesi in particolare, col fiato sospeso per quei 14 giorni. Tempeste, uragani, lei andava avanti, in testa, attraversava tutto, dominava il mare e i suoi avversari. “Dai, dai, faccela Flo, vai avanti Flo!” le dicevano col pensiero tutte le donne di Francia, mentre lavoravano, si occupavano dei figli, lavavano piatti, o qualunque cosa facessero mormoravano sempre: “dai Flo, vai avanti, Flo, non fermarti Flo…”. Non so dirvi il momento del suo arrivo, nel porto di Pont-à- Pitre, quanto ho pianto e urlato dalla gioia. Mi pare di ricordare che fosse notte. Accolta da un baccano pazzesco di fuochi d’artificio, petardi e urla di gioia lei pareva quasi svagata, e mi pare di ricordare che spiegò di sentirsi così perché le era appena venuto il ciclo!    Ero molto sola, in quel periodo, vivevo a Parigi, mi sentivo fragile, insomma, momento difficile. Ma vedendo Florence vincere quella gara mi sono sentita fortissima anch’io. Molte leonesse mi hanno ispirato nella mia vita, ma devo dire che proprio fisicamente, concretamente, è stata Florence Artaud che mi ha fatto pensare: “Ma allora io posso fare tutto, davvero tutto.” Grazie Flo, che il mare, il tuo grande amore, ti accolga lì dove sei.

Josephine Baker: La dottoressa che salvò gli Stai Uniti. E il mondo.

Se si digita il suo nome, compare una sfilza di siti dedicati alla sua omonima, la famosa cantante ballerina. Si deve aggiungere Doctor per sapere di lei. E solo in inglese. Dunque vogliamo celebrare questa incredibile Leonessa della Medicina. Con la sua visionarietà e determinazione ha “inventato” la prevenzione e salvato all’epoca 90.000 bambini ma, nel tempo, milioni. Josephine dovrebbe essere raccontata non solo nelle scuole, ma anche nei film, nei romanzi, nei fumetti. Questa mini biografia non riesce a contenerla tutta, ma ci proviamo. Mandateci anche voi la storia di una donna che per voi ha significato molto. Spedite la vostra Leonessa a snoqfactory@gmail.com, e   noi   la pubblichiamo! 

Grazie, Josephine.

“Io credo che le donne abbiano qualcosa da offrire a questo mondo malato. Qualcosa che gli uomini non hanno da offrire o non hanno ancora offerto”.

19Sara Josephine Baker. Americana, dottoressa. Rivoluzionò il sistema della salute pubblica. (1873 –1945).

Più conosci la sua vita, più vorresti conoscere lei di persona. Josephine Baker è tutta in quello che fa e in quello che dice. Un paio di esempi:

a Boston, fu sul punto di uccidere un ubriaco che stava picchiando la moglie incinta, mentre lei stava aiutando la donna a partorire.

E ancora: come ispettrice della salute a New York City, girava nelle stamberghe e faceva le iniezioni contro il vaiolo ai senza tetto, mentre questi giacevano addormentati. Come dice lei stessa nella sua autobiografia ‘Fighiting for life’  ( Lottando per la vita) “ …salivo scalino per scalino, bussavo ad ogni porta, incontravo un ubriaco dopo l altro, una madre sudicia via l’altra, e un bambino morente dopo l’altro.” La maggior parte dei suoi colleghi se ne guardava bene di inoltrarsi in zone così infernali.

Per avere un’idea della ”rivoluzione” Baker bisogna avere in mente lo scenario. Dunque, nel 1890 il Lower East Side di New York era la zona con la più alta densità di abitanti sulla terra, così  si diceva. Gli ispettori della salute chiamavano il quartiere “ reparto suicidio”. Le strade erano infestate da cadaveri di animali in putrefazione, roba che i ratti sembravano una minuzia. Il latte, non pastorizzato, era venduto direttamente da lattine arrugginite. Epidemie di diarrea imperversavano ogni estate e uccidevano ogni settimana centinaia di bambini.      I bambini – sfruttati a lavorare in laboratori fetidi per la confezione di vestiti- avevano spesso il vaiolo e il tifo e si addormentavano su mucchi di indumenti destinati ai negozi del centro. Madri disperate andavano avanti e indietro per      le strade per confortare i figli febbricitanti e teli bianchi di lutto venivano appesi ai balconi. Un terzo dei bambini che abitavano lì moriva prima del quinto compleanno.

Poi, dal 1911 in avanti, il tasso di mortalità infantile calò drasticamente e il New York Times annunciò che la città era la più salubre del mondo.

Cosa successe? La Dottoressa Josephine Baker. Fu lei la donna che rivoluzionò la salute pubblica e molto altro.

Durante la sua attività, salvò la vita a 90.000 bambini. I programmi per la salute che lei stessa aveva sviluppato e per cui aveva lottato, sono ancora usati oggi. Si può dire che di vite ne ha salvate milioni.

All’inizio del secolo scorso, la medicina preventiva non era conosciuta. Solo quando una persona si ammalava, allora veniva curata. Non c’erano infermiere nell’assistenza pubblica, pochi programmi per la salute su larga scala, mancavano procedure, regole.

Era anche un momento di cambiamenti sociali. Le donne marciavano per avere il diritto al voto. E di sicuro le dottoresse erano una rarità: meno dell’1%. Poche scuole di medicina erano aperte alle donne.

Josephine Baker, nata a Poughkeepsie, New York in una famiglia benestante di quaccheri, a 16 anni, quando il padre e il fratello morirono di febbre tifoidea, decise di diventare dottoressa, contro il parere della famiglia s’intende. “Solo il coro del ‘te l’avevo detto’ che mi accoglieva ogni volta, mi aiutò a non mollare tutto e tornare a casa.”

Diciamo che la sfida era il suo pane. E la medicina a quei tempi richiedeva coraggio. Cosa che a Josephine non mancava.

Lavorò nell’ospedale di Boston e nello stesso tempo in una clinica nella periferia povera della città.

E all’inizio del ‘900 divenne medico ispettore, presso il Dipartimento della Salute di New York. Il suo primo incarico fu quello di esaminare la salute dei bambini nelle scuole pubbliche. Poi venne nominata capo del Dipartimento. E da qui cominciarono a migliorare le cose.

Ecco di cosa fu capace:

– Creò programmi di medicina preventiva e di salute pubblica. Nel suo primo anno come responsabile, spedì le infermiere negli angoli più letali del Lower East Side. Dovevano visitare le neo-mamme a un giorno dal parto, incoraggiare l’allattamento al seno, e bagnetti regolari. Dovevano anche scoraggiare pratiche azzardate come quella di nutrire i piccoli con la birra o di lasciare che i loro piccoli giocassero nelle latrine. Consigli che sembrano ovvi, ma il risultato fu straordinario. Presto questa pratica venne diffusa nel resto della città e in tre anni l’incidenza di mortalità infantile calò del 40 %!

– Grazie alla Dottoressa Baker fu creata una rete di “stazioni del latte” il cui staff, formato da infermiere e dottori, offriva visite ai bambini e formule per nutrire i bimbi che non potevano essere allattati.

– Fece una lunga battaglia (vinta) per far sì che le ostetriche ottenessero la formazione e la licenza.

– Suo è lo sviluppo di un ingegnoso erogatore per somministrare l’argento nitrato ai neonati. Serviva a prevenire le infezioni da gonorrea congenita, causa sicura di cecità.

– Sviluppò una nuova formula per l’alimentazione neonatale: aggiungendo acqua, calcio carbonato e lattosio al latte di mucca.

– Creò la figura di infermiera scolastica.

– Inventò una finestra per migliorare la ventilazione nelle case.

– Creò un modello efficiente per tenere un archivio di registro medico.

– Disegnò anche un set di indumenti per bambini più economico e confortevole rispetto alle fasce usate nei ghetti.

– Fece campagne di sensibilizzazione. Come quella dove fu insegnato alle donne come riconoscere le malattie e come evitare i germi.

– Baker fu la prima a dimostrare scientificamente che i bambini avevano bisogno di amore. Il latte sicuro e l’igiene non erano le uniche cose di cui i bimbi avevano bisogno per sopravvivere.

Notare che non aveva figli.

In tutto questo, i nemici e le frustrazioni non mancavano. Quando fu nominata infatti direttrice della divisione, sei dottori, che erano stati suoi colleghi come ispettori della salute, rassegnarono le dimissioni per la “disgrazia di dover lavorare per una donna.”

Lei li persuase a fare una prova per un mese. Tutti e sei rimasero.

Alcuni si lamentarono del fatto che una dottoressa, una donna, fosse a capo del Dipartimento della città e nel 1919 ci fu una pressione considerevole per cercare di rimuoverla dall’incarico.

Ma, a detta di Josephine, forse la discriminazione più scoraggiante che dovette affrontare fu quella da parte degli studenti a cui insegnò all’università di New York:

Stavo in piedi, assediata dai banchi, zeppi di giovani uomini impazienti, duri, insubordinati. Li osservai attentamente e aprii la bocca per iniziare la mia lezione. Subito, prima di poter dire una sola sillaba, cominciarono ad applaudire fragorosamente, assordanti, sorridenti e battendo il palmo delle mani.”

Per salvare la faccia, la dottoressa Baker scoppiò in una fragorosa risata, ma alla fine della lezione il battimani ricominciò. Dovette sopportare questo, ad ogni lezione, per 15 anni.

Fu anche suffragetta. Fu tra quelle 500 donne che marciarono sulla Quinta Strada per reclamare il diritto al voto. Fu tra quelle che incontrarono il Presidente alla Casa Bianca .

Divenne consulente, funzionaria e componente del consiglio di numerose associazioni tra le quali spicca l’incarico di presidente dell’Associazione di Dottoresse.

Josephine Baker fu anche la prima donna a rappresentare gli Stati Uniti alla Lega delle Nazioni nel Comitato della Salute.

Nel 1917, quando il suo Paese entrò in guerra, capitò che il New York Times la intervistasse. Lei disse che era molto più sicuro stare al fronte che nascere negli Stati Uniti. Il tasso della mortalità dei soldati era del 4%. Quello dei bambini del 12%. Queste parole ebbero un’eco pubblica tale, che l’aiutarono a lanciare il suo programma.

Doveva avere un carattere di titanio, perché la discriminazione era davvero violenta all’epoca.

Giusto un assaggio: nel 1910 Josephine Baker e altri riformisti stilarono un progetto di legge per creare un programma nazionale di visite a domicilio e in clinica, per la salute delle madri e dei bambini, seguendo il modello di successo di New York. I repubblicani erano contrari a spendere soldi pubblici per programmi del genere, dichiararono che questo progetto puzzava di bolscevismo. Baker era a Washington il giorno in cui un giovane dottore spiegò il perché di questa posizione contraria:

Ci opponiamo al progetto perché se si salveranno le vite di tutte queste donne e dei loro bambini con la spesa pubblica, quale incentivo ci sarà per tutti i giovani uomini a studiare medicina?

Il Senatore Sheppard, presidente della commissione, si irrigidì, si piegò in vanti e chiese:

“ Forse ho capito male. Certo non volete dire che donne e bambini dovrebbero morire o vivere in condizioni di costante pericolo di malattia, affinché ci possa essere qualcosa da fare per i giovani dottori?“

Perché no?” rispose il dottore. “ Questo è il volere di Dio, no?”

Altre interessanti informazioni sulla Dottoressa Baker si trovano solo inglese purtroppo, ecco un paio di siti dove poter approfondire: http://www.harvardsquarelibrary.org/biographies/sara-josephine-baker/http://www.nlm.nih.gov/changingthefaceofmedicine/physicians/biography_19.html

In ogni caso si sa poco della sua vita privata, visto che bruciò quasi tutti i suoi scritti personali e intimi. Peccato. Comunque anche questo è un gesto emblematico del suo temperamento. Decise lei per cosa essere ricordata. La sua autobiografia Fighting for life infatti è trascinante. Speriamo che la traducano in italiano.

Ecco comunque come finisce la sua storia: la Dottoressa Baker, negli ultimi anni visse a Princeton, New Jersey, con la scrittrice e sceneggiatrice di Hollywood Ida Wylie, autrice di numerosi romanzi rosa, molti dei quali furono adattati per il cinema . Con loro visse anche Louise Pearce, scienziata della Rockefeller University che contribuì a inventare la cura contro la malattia del sonno e che viaggiò sola nel Congo Belga per provare la sua scoperta. Un bel terzetto di leonesse insomma. È pazzesco, vero? Quante storie di donne ci sono ancora da raccontare e ricordare. Allora continuiamo!

 

Ciao Maya Angelou

Maya Angelou è morta oggi a 86 anni.

n-MAYA-ANGELOU-large570Phenomenal woman – Donna straordinaria

Le belle donne si chiedono dove dimora il mio segreto.

Non sono carina o fatta per indossare abiti con taglie da modella.

Ma non appena glielo dico,loro pensano che io dica bugie.

Io dico, è nella portata delle mie braccia, nella misura dei miei fianchi, nell’andatura del mio passo, nel ricciolo delle mie labbra.

Io sono straordinariamente una donna. Una donna straordinaria, questa son io. Continua a leggere

Ragazze con la pistola

Carla_Capponi_1di Cristina Biasini

La guerra infuria in tutto il continente. Il Paese è allo sbando: il regime dittatoriale è caduto, il governo provvisorio ha firmato un armistizio con i nemici e l’esercito è un corpo senza testa. Ora i nemici sono altri: gli alleati del vecchio regime, che con le loro truppe invadono il Paese. Lei, dal primo giorno, decide di combatterli.

Lei è lì, alle porte della capitale, nel disperato tentativo di difenderla dagli invasori insieme ad altri oppositori del regime e a quel che resta dell’esercito regolare. Vorrebbe un’arma per combattere in prima linea, ma le armi sono poche. Resta nelle retrovie, dove cura i feriti insieme alle compagne. È una battaglia cruenta e impossibile da vincere: un gruppo di donne e uomini male organizzati da una parte, una potente macchina da guerra dall’altra. Quando gli invasori entrano in città, lei non si dà per vinta. Si chiama Elena, ha venticinque anni, è colta e bella, ha tutta la vita davanti. Continua a leggere

Auguri Tina Anselmi!

imageAuguri a Tina Anselmi per i suoi 87 anni!

Glieli facciamo con questo testo di Tiziana Ragni, pubblicato su l’Unità il 25 marzo:

Auguri, staffetta Gabriella, cento chilometri al giorno in bicicletta e una gran fame.

Auguri, staffetta Gabriella, pronta a morire a 17 anni “che ogni volta che uscivo di casa pregavo di non dover sparare”.

Auguri, staffetta Gabriella, che una notte a Castelfranco arrestò un’ombra nella piazza che non ricordava la parola d’ordine. E quell’ombra era suo padre. Perseguitato dai fascisti.

Auguri, staffetta Gabriella, che andò casa per casa a incoraggiare le donne a prendersi il diritto di votare per la prima volta. E ancora oggi si chiede “perché per noi donne gli esami non finiscono mai. Come se essere maschio fosse un lasciapassare per la consapevolezza democratica”.

Auguri, staffetta Gabriella, che ricorda quando Togliatti -riguardo la decisione da prendere sul voto alle donne- disse: “Sentite prima quello che ne pensa De Gasperi”.

Auguri, staffetta Gabriella, quando essere sindacaliste significava difendere “le mani lessate delle filandiere”.

Auguri, staffetta Gabriella, cattolica col botto che “tuttavia non ricordo di avere mai avuto uno di quei colloqui dei quali è purtroppo invalsa l’abitudine di vantarsi veri o falsi che siano con cardinali ed eminenze grigie dalle quali si andava per avere qualche placet”.

Auguri, staffetta Gabriella, che quando ti chiedevano se rimpiangevi la condizione di “signorina” e il non aver avuto figli, rispondevi, dietro suggerimento della Sandra Codazzi, “Signorina, ma non per forza”.

Auguri, staffetta Gabriella, prima donna ministro nella storia della Repubblica. E instancabile “acchiappa fantasmi” della Commissione d’Inchiesta sulla P2.

Auguri, staffetta Gabriella, che “con gli anni si diventa leggeri forse perché ci si avvicina all’ultimo approdo e ci si libera dei bagagli inutili, ingombranti e si conserva l’essenziale”.

Auguri, a te e a tutti noi, Tina Anselmi.

Germaine Dulac: il cinema è un’emozione razionale

Sono tempi da Oscar, allora celebriamo una grande Leonessa del cinema. Con la sua visionarietà Germaine ne ha fatto un’arte. Una regista assetata di sperimentazione, indifferente alle regole; la sua grande bellezza è quella delle idee nuove. Mandateci anche voi la storia di una donna che per voi ha significato molto. Spedite la vostra Leonessa a snoqfactory@gmail.com, e noi la pubblichiamo!

Grazie Germaine.

…il cinema viene da un’emozione razionale… credo che il lavoro cinematografico debba nascere da uno shock della ragione…

4.-Germaine-DulacGermaine Dulac. Regista. Autrice. Francese. (1882-1942).

Unica donna del movimento d’Avanguardia del Cinema Francese e mondiale. Giornalista, critica teatrale, femminista, Germaine ha soprattutto sperimentato, teorizzato, “fatto” il cinema. Se è diventato settima arte lo si deve anche a lei. Il talento di Germaine ha influenzato generazioni di cineasti, compreso i suoi colleghi. Niente digitale, niente effetti speciali. Occhi, cuore e il potere dell’immaginazione. Date un’occhiata a qualche suo film, potrebbe benissimo essere esposto alla Biennale d’Arte di Venezia, oggi. La modernità delle inquadrature, l’uso del ralenti, il montaggio, le sequenze originali, ancora sorprendono. E fanno scuola. Dal punto di vista cronologico è la seconda donna regista in Francia, dopo Alice Guy, ma è sicuramente la prima nella ricerca di espressioni nuove. Il tema di genere, l’esplorazione visiva e la rappresentazione della soggettività, sono costanti della sua narrativa. Tutto questo quando le donne neppure votavano. Il suo merito? Ha fatto evolvere il cinema sia come arte sia come divertimento sociale. Continua a leggere

Leonesse: Adele Faccio

Adele è una Leonessa autentica. E proprio come una leonessa si è sempre battuta per l’autodeterminazione della donna, per la libertà sessuale, i diritti civili, per costruire una rete di consultori. Grazie anche a lei oggi abbiamo la 194! È una fonte d’ispirazione per tutte, tanto più in questi giorni, visto la recente bocciatura al Parlamento Europeo della risoluzione Estrela. Coraggio, anticonformismo la forza di dire no, sono il suo insegnamento. Mandateci anche voi la storia di una donna che per voi ha significato molto. Spedite la vostra Leonessa a snoqfactory@gmail.com, e noi la pubblichiamo! 

Grazie Adele!

adele_faccioSi dà il caso che io non sia né mite, né paziente, né tantomeno rassegnata…”

Adele Faccio, ex partigiana, è stata parlamentare del partito radicale e attivista per i diritti civili. Nel 1973 fu tra le fondatrici del Cisa (centro per la sterilizzazione e l’aborto) e ne diventò presidente. Applicò all’interruzione di gravidanza gli stessi principi e le stesse pratiche di disobbedienza civile che già i radicali avevano sperimentato nella lotta contro il servizio militare obbligatorio. Organizzò i viaggi a Londra di donne incinte che volevano interrompere la gravidanza in modo sicuro e ambulatori italiani (come quello fiorentino di Giorgio Conciani) disposti a testimoniare il loro rifiuto del codice Rocco allora vigente, anche a rischio della repressione. Continua a leggere